Il 19 gennaio 2025 ha segnato un episodio di grande rilievo politico e giudiziario per l’Italia: la scarcerazione di Osama Najim, conosciuto come Almasri, figura controversa accusata di crimini di guerra e crimini contro l’umanità dalla Corte Penale Internazionale (CPI). L’arresto e il successivo rilascio di Almasri hanno scatenato un acceso dibattito politico e sollevato domande sul rispetto degli obblighi internazionali da parte dell’Italia.
Chi è Almasri e quali accuse lo riguardano
Osama Najim, noto con il soprannome di Almasri, è un ex generale libico e direttore del centro di detenzione di Mitiga, situato vicino alla capitale libica Tripoli. Il centro è stato descritto da numerosi rapporti di organizzazioni per i diritti umani come un luogo in cui si sarebbero verificati gravi abusi contro i detenuti, tra cui torture, violenze sessuali e detenzioni arbitrarie. Le vittime, in molti casi, erano migranti o oppositori del regime libico.
La Corte Penale Internazionale aveva emesso un mandato d’arresto per Almasri, accusandolo di essere direttamente responsabile o complice di numerosi crimini commessi all’interno del centro di detenzione. Tra le accuse mosse ci sono omicidio, tortura, trattamenti crudeli, oltraggio alla dignità umana e violenza sessuale, considerati sia crimini di guerra sia crimini contro l’umanità.
Secondo la CPI, Almasri avrebbe agito con piena consapevolezza, sfruttando la sua posizione di potere per perpetrare abusi contro persone vulnerabili. La sua notorietà in Libia lo ha reso una figura divisiva: temuto e accusato dalla comunità internazionale, ma rispettato da alcuni gruppi locali che lo vedono come un elemento chiave della sicurezza nel Paese.
L’arresto in Italia
Il 18 gennaio 2025, la CPI ha trasmesso un mandato di cattura internazionale per Almasri, supportato da una “red notice” dell’Interpol, segnalando la sua presenza a Torino. Almasri si trovava in Italia per motivi apparentemente non ufficiali, tra cui l’assistenza a una partita di calcio tra Juventus e AC Milan. Le forze dell’ordine italiane, avvisate dell’allerta, sono intervenute rapidamente.
La Digos di Torino ha proceduto all’arresto provvisorio di Almasri il 19 gennaio, avvalendosi delle disposizioni del codice di procedura penale italiano che permettono l’arresto di persone ricercate su scala internazionale in situazioni di emergenza. Dopo il fermo, è stata informata la Corte di Appello di Roma, competente in materia di cooperazione giudiziaria internazionale, e il Ministero della Giustizia.
Tuttavia, sin dalle prime ore successive all’arresto, sono emerse criticità procedurali che avrebbero poi giocato un ruolo cruciale nella decisione di scarcerare Almasri.
La decisione della Corte di Appello
Il 21 gennaio 2025, la Corte di Appello di Roma ha ordinato la scarcerazione di Almasri, adducendo motivazioni legate alla presunta irregolarità della procedura seguita per il suo arresto. La Corte ha infatti stabilito che non era stata rispettata la legge n. 237 del 2012, che disciplina la cooperazione tra l’Italia e la CPI.
Secondo questa normativa, l’arresto di persone ricercate dalla Corte Penale Internazionale deve essere effettuato seguendo un iter specifico: il mandato d’arresto deve essere inoltrato al Ministro della Giustizia, che ha il compito di trasmetterlo al Procuratore Generale presso la Corte di Appello competente. Solo dopo l’intervento del Ministero è possibile procedere con l’applicazione di una misura cautelare. In questo caso, tale passaggio non sarebbe stato rispettato.
La Corte di Appello ha inoltre sottolineato che, sebbene il codice di procedura penale consenta arresti provvisori in caso di urgenza, questa disposizione non si applica automaticamente ai mandati della CPI senza una previa verifica ministeriale. La mancanza di questa consultazione ha portato alla decisione di considerare l’arresto “irrituale” e dunque nullo.
Il rimpatrio di Almasri in Libia
Dopo la scarcerazione, Almasri è stato rimpatriato rapidamente in Libia a bordo di un volo di Stato italiano. Questa decisione ha suscitato immediatamente reazioni contrastanti. Da una parte, il governo italiano ha giustificato il rimpatrio come un atto necessario per porre fine a una situazione giuridicamente insostenibile. Dall’altra, le organizzazioni internazionali e molti osservatori hanno visto questa mossa come un fallimento nell’assicurare alla giustizia un individuo accusato di crimini gravissimi.
In Libia, Almasri è stato accolto con entusiasmo da alcune fazioni politiche e militari, che lo considerano una figura importante per la sicurezza nazionale. Tuttavia, il suo ritorno ha anche riacceso le preoccupazioni sulle violazioni dei diritti umani nel Paese e sulla possibile impunità per crimini di guerra.
Le reazioni internazionali
La scarcerazione e il rimpatrio di Almasri hanno provocato una forte reazione da parte della CPI, che ha criticato apertamente l’Italia per non aver rispettato i propri obblighi internazionali. La Corte ha ribadito che, in qualità di Stato parte dello Statuto di Roma, l’Italia è tenuta a cooperare pienamente con la CPI, inclusa l’esecuzione dei mandati d’arresto.
La CPI ha richiesto chiarimenti ufficiali al governo italiano, sottolineando che episodi di mancata collaborazione rischiano di compromettere la lotta contro l’impunità per crimini internazionali. Anche l’Unione Europea ha espresso preoccupazione, chiedendo spiegazioni sul motivo per cui l’Italia abbia agito in modo tale da ostacolare il lavoro della giustizia internazionale.
Le implicazioni legali
La vicenda di Almasri mette in evidenza le complessità della cooperazione tra gli Stati e la Corte Penale Internazionale. La legge n. 237 del 2012 è chiara nel definire le competenze del Ministro della Giustizia in materia di richieste della CPI, ma lascia margini di ambiguità sull’applicazione delle procedure in situazioni di urgenza.
Secondo alcuni esperti, l’Italia avrebbe potuto evitare il rimpatrio applicando una misura cautelare temporanea, in attesa di chiarimenti procedurali. Tuttavia, altri sostengono che l’interpretazione restrittiva adottata dalla Corte di Appello fosse giuridicamente corretta, anche se controversa.
Le ripercussioni politiche
Sul piano interno, il caso ha generato un acceso dibattito politico. Esponenti dell’opposizione hanno accusato il governo di aver compromesso la credibilità dell’Italia a livello internazionale e di aver dimostrato scarsa competenza nella gestione di un caso così delicato. Il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, sono stati convocati in Parlamento per riferire sulla vicenda.
Piantedosi ha difeso l’operato del governo, spiegando che il rimpatrio di Almasri era inevitabile a fronte della decisione della Corte di Appello. Tuttavia, le spiegazioni fornite non hanno placato le critiche, e alcuni esponenti dell’opposizione hanno chiesto le dimissioni del Ministro della Giustizia.
Conclusioni
La scarcerazione di Almasri rappresenta un caso emblematico delle sfide legate alla cooperazione internazionale in materia di giustizia penale. Pur rispettando formalmente le procedure previste dalla legge italiana, la decisione della Corte di Appello ha sollevato interrogativi sulla compatibilità tra le normative nazionali e gli obblighi internazionali. Allo stesso tempo, il caso mette in luce le difficoltà operative della CPI nel garantire l’esecuzione dei propri mandati d’arresto, specialmente in un contesto geopolitico complesso come quello libico.
L’Italia, da parte sua, dovrà lavorare per ricostruire la propria credibilità a livello internazionale, dimostrando un impegno concreto nella lotta contro l’impunità per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Questo episodio servirà probabilmente come monito per rafforzare i meccanismi di cooperazione tra gli Stati e la Corte Penale Internazionale, evitando che casi simili possano ripetersi in futuro.